Ad essere sinceri non è l’arte, in fondo, che mi interessa nell’arte, ma gli artisti. In particolare quelle persone, come Nicola Frangione, che attraverso l’arte racchiudono in sé un’energia vitale in grado di determinare una nuova e diversa relazione con se stessi e con il mondo esterno.

Frangione è un performer che ha attraversato, con coerenza transmediale, le derive della ricerca verbo-visiva, sonora e delle arti d’azione, mantenendo centrale la condizione dell’artista come ‘strumento di misura’, sensibile alle variazioni di un quotidiano che, in maniera evidente, è l’oggetto di indagine del suo percorso.

Questo elemento comune, la cui costante identificazione richiederebbe un lungo e forse inutile processo ‘inventariale’, lo ritroviamo sia nei suoi lavori sonori della fine degli anni ‘70 come in quelli di ‘drammaturgia rituale’ degli anni ‘80/’90, e parallelamente, nelle ‘partiture visive’ e nelle sperimentazioni sonoro-vocali degli anni più recenti. 

In un certo senso le sue ‘azioni’ si presentano come riflessioni su aspetti della vita, che noi diamo per consolidati, presentati in modo tale che ci costringono a rimanere ricettivi alla meraviglia scuotendo l’immobilità patologica di cui l’individuo è prigioniero: Atti Poetici.

Le performance di Nicola Frangione sono un modo per aprire nuove porte verso una comprensione diversa dell'esistere, coinvolgendo diversi codici, diverse classi di oggetti, diversi ‘mondi’ per proiettare nella semiosfera l’elemento extra-ordinario che espone e disturba, che rende flessibile e decentrato ogni metodo, che spinge il soggetto a farsi interprete senziente, innovatore, mutante.

Ma, nella dimensione ultramediale di questo approccio, non sono i ‘veicoli’ di trasmissione del messaggio che intrigano; piuttosto è la dimensione del ‘processo’, che non è - nè nella vita nè nell’arte - la riproduzione o la successione dei segni, ma ha come obiettivo la ‘trasformazione’, la modificazione cioè di uno stato, principalmente psichico prima ancora che sociale, attraverso una azione. Un'azione concreta, che influisce sulla realtà, per non rimanere ancorati soltanto al pensiero astratto (il nervo ottico nella semiotica dell’arte).

L’atto performativo diventa, per Frangione, uno strumento per interagire direttamente con l’aspetto psichico senza la super-mediazione delle tecniche e dei supporti tradizionali delle arti plastiche e sonore, che vengono coinvolti, attraverso un uso sinergico, come elementi ‘accessori’ o come attivatori di campi energetici.

È la pratica di quell’arte immateriale-arte vivente che mette in discussione la visione ‘lineare’ dello sviluppo tecnico-espressivo, rivendicando all’atto artistico la sua peculiare condizione ‘amodale’ e di indifferenza fra mezzo espressivo e aspetto tecnologico.

In questo senso Frangione si ‘dichiara’ ancora una volta coerentemente, attraverso la scrittura, sulla personalizzazione astratta del prodotto artistico, considerato una sorta di feticizzazione della tecnica, che fa dimenticare tutte le circostanze dell'antico godimento in cui il tempo di vita si imponeva sul tempo di produzione: “....Sia nella musica come nelle arti visive, sia nel teatro come nella poesia, le specificità del mezzo hanno indotto l'autore verso un'autodifesa corporativa nella convinzione manieristica di un’identificazione drammatica. Il mezzo, la disciplina, la tecnica, diventano per eccesso "verità filosofiche" di identificazione esistenziale, come una mamma eterna ed immutabile pronta ai nostri vizi di umano cambiamento... Nel senso drammaturgico delle arti e nel fare “performing art” si va oltre la multimedialità, con distacco; l'opera è l’autore come sinergia interdisciplinare, l‘autore è l’elemento della memoria collettiva come unico artefice del suo processo artistico, la performance è un percorso parallelo tra linguaggio-concettuale ed emotività-pulsionale, come pensiero-azione...” Frangione, N., Performing Art e Utopia Concreta - oltre la multimedialità (2003), in: La voce in movimento, Monza, Harta Performing & Momo.

Non tanto il contenuto dell’atto, quindi, quanto la motivazione, l'intenzionalità e il livello di investimento personale rendono queste performance un’occasione extra-ordinaria, un evento quotidiano ‘eccezionale’.

In Frangione ciò che unisce quotidianità ed eccezionalità è la ricerca di un senso poetico e di una profondità nei comportamenti consueti delle persone; nulla è più noioso che la ripetitività di un gesto ed ecco allora che lo stupore, la sorpresa, l'inaspettato, le sfumature particolari di un gesto diventano elementi distintivi di quell’agire, nuovo e molto antico, che si collega alla ritualità del quotidiano.

Comprendere ed esplorare un proprio gesto, secondo la 'memoria del corpo' può voler dire attivarne le sorgenti inconsce, fino a scoprirne la forza espressiva ancestrale, tramandata dai genitori, dagli antenati, dalla comunità sociale.

Nei suoi lavori appare evidente che la libertà dell'uomo è una ricchezza di possibilità diverse, da cui appunto Frangione deriva la rinuncia ad ogni certezza assoluta e l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore se non attraverso quell'atto poetico che permette di manifestare energie normalmente represse o latenti, quell’atto che è utopia concreta.

Frangione rinuncia allo ‘spettacolo’, che di certezze ha bisogno, e, nel rappresentare, pone la ricerca di un ‘essere presente’ autentico che invece di pensare cosa sia giusto mostrare di sé agli altri, cerca di mostrare a se stesso qualcosa di sé, qualcosa da ricercare nel corpo-anima, attraverso delle 'azioni d’anima' vere e non recitate; un percorso zen, un percorso intorno al vuoto.

D’altronde tutta l’arte, ci fa notare Jacques Lacan, si caratterizza per una certa costruzione attorno al vuoto, tutta la riflessione sull’arte è un procedere cieco, vacillando come sulla corda di un funambolo.

L’attività creativa di Frangione procede al centro di questo vuoto, lo organizza pensando a futuri svuotamenti, a rituali di decostruzione delle teorie, alla sovversione di un immaginario mediato dal potere e dalle sue rappresentazioni, alle afasie rivendicate come sigilli alchemici per le proprie opere.