Il fascino delle mani lunghe, e nodose in armonia. Mani beckettiane.

Il fascino degli occhi prensili che sollevano quelle dita instabili in nervosa ed estetica azione.

Il fascino degli occhi e delle mani che si fanno corpo totale e scuotono il nervo della poesia.

Il fascino di una struttura studiata, disegnata, ricercata e poi abbandonata, in performance,

agli impulsi irresistibili delle mani, degli occhi, del corpo.

 

Vivere la performance con Nicola Frangione è esperienza esistenziale di profonda inquietudine e di straordinaria beatitudine. Inquietudine perché l’artista è contraddittorio, provocatorio, imprevedibile. Beatitudine perché il poeta sa raccogliere le tue emozioni e scioglierle in musica celeste.

Frangione ha la capacità  “impossibile” di armonizzare mente e corpo: concetto e carne. Capacità “impossibile” perché la sua mente cerca sempre l’assoluto: e nella ricerca si contorce, tocca i limiti della teoria più ambiziosa, è quasi sempre concetto di purezza filosofica.

Capacità “impossibile” perché, in azione, il concetto diventa carne in totale libertà: carne liberata in un canto di scrittura e di piume corporali.

 

In quest’impresa difficilissima, direi quasi unica in Italia, Nicola è aiutato dal suo instancabile approfondimento di due elementi fondamentali per chi della performance ha ancora una visione artistica (e non spettacolare): lo SPAZIO e il TEMPO.

Con il concetto, Frangione prepara lo spazio ideale alla gestualità del suo corpo. Con il concetto e la gestualità del corpo scandisce poi il tempo e i tempi.

Il tempo è presente anche materialmente (ricordo per esempio, un suo grande orologio inserito nello spazio): ma la materia non è mai dominante. E’ dominante la percezione musicale e spirituale del tempo: il ritmo interiore, il ritmo dell’anima. Quel ritmo “concetualizzato” miracolosamente dal corpo: proprio nel miracolo della mente. E tutto diventa naturale, sciolto: anche lo scatto dell’improvvisazione.

 

Dovremmo essere grati a Nicola per non avere abbandonato (negli anni 80 e 90) il “cemento” della performance: quando, dopo l’esplosione degli anni 70, le mode guardavano altrove.

Oggi che la performance è dinuovo di moda (troppo di moda), Frangione può tranquillamente staccarsene e lasciare al loro destino epigoni un po’ piccini (per non dire volgari).

Oggi che il corpo e la carne sono trapassati da aghi, laser, telecamere spietate e cadaveri eccellenti, è bene ricordare i cuori sanguinanti provocatoriamente esibiti, “smaterializzati”, “sacralizzati” da Nicola molti anni fa.

Le date non sono opinioni.

 

Le prodigiose capacità estetiche di Frangione, che a volte, in altre discipline, potrebbero anche apparire di un qualche ingombro, in performance sono sempre al servizio di un’idea sostanziale e di un essenziale movimento del corpo.

La sua performatività si manifesta anche nelle opere, nei video, nelle sperimentazioni sonore: per un artista totale non potrebbe essere diversamente.

E’ un peccato che Nicola, nella sua totalità interdisciplinare, abbia toccato poco il teatro (artistico-poetico): nella sintesi e nel coagulo di più arti, come il vero teatro è, avrebbe potuto esprimere al meglio tutte le sue straordinarie energie.

Forse il mio desiderio non è del tutto equilibrato.

A osservare bene le performances, anche i video, la drammaturgia è già evidente. Sia chiaro: sempre drammaturgia d’artista. Se è vero che Frangione non ha scritto testi specifici per il teatro, è pur vero che la sua “scrittura del corpo”, anche teorizzata, è alta drammaturgia.

 

Per la storia dell’arte, se oggi di arte si può ancora parlare, è comunque meglio non chiudere Nicola in gabbie definite. La sua libertà d’espressione è l’essenza dell’artista.

La sua totalità interdisciplinare è il sentire insieme dei tempi.

La sua estetica è desiderio d’armonia e di spiritualità.

Il suo sentimento e le sue provocazioni sono rivolte contro l’indifferenza dell’oggi (dei tanti poteri dell’oggi).

Le sue pause spiazzanti (e irriverenti) sono le figlie gentili del concetto che richiamano il corpo, le parole del corpo, a un minimo di riflessione.

Il suo procedere a volte giocoso (o beffardo)  è ricordarsi e ricordare-sull’onda di Fluxus che l’arte è ancora gioia: è la felicità degli organi nel progress della performance.

Il suo nervo scoperto è la dura risposta alle troppe finzioni imperanti e alle vergognose amoralità di uomini poco sociali (o persi nella “socialità” sporcacciona degli spettacoli televisivi).

Io che ho avuto la fortuna di agire con lui, lo posso gridare senza esagerazioni. E con il piacere della verità. Se la performance art è, come io credo, verità, Nicola Frangione ne è interprete ideale. Prima di ogni estetica e di ogni narcisismo artistico.