Andiamo sempre oltre - per trovare qualcosa di diverso

e troviamo - lo stupefacente apparire

mentre lo stupefacente essere - è già in noi

che attende sempre - i passi del nostro tutto

nella memoria siamo la porta di noi stessi”


Esponente di spicco della Performance Art. Versi profondi, versi veri che suggeriscono un interrogarsi continuo che lascia, poi, il campo ad una presa di coscienza dalla quale non si può fuggire. Versi che propongono un nuovo modello per recuperare i valori dell’esistenza contro lo “stupefacente apparire” della tv, della moda e dell’arte. Un’operazione ambiziosa? Una domanda o meglio un provocazione che ci viene da Nicola Frangione, lucano di nascita, poeta, regista, scrittore, artista a tutto tondo che vive di arte e nell’arte vive.

Un’operazione nella quale il poeta può tentare di mantenere inalterato il delicato equilibrio tra l’essere e l’apparire. E’ questa l’essenza della sua performance art come teatro contemporaneo, quello che oggi più di ieri deve preservare un’immagine autentica di sé, non edulcorata da fallaci ed evanescenti messaggi.

Ed è il teatro che ci racconta Frangione. Lui non ha dubbi sulla valenza della forza espressiva quale strumento di dialogo con il pubblico. Una forza espressiva che muta forma, colore, sostanza a seconda delle sfumature che vuol imprimere al messaggio. E l’arte di Frangione è una incessante ricerca che unisce, confronta e che insieme approfondisce e sperimenta i tanti linguaggi e i possibili luoghi del teatro.

“La mia ricerca artistica - ci ha rivelato – ha una bella età, quella della maturità: trent’anni. Un progetto di vita che mi ha dato e che ancora oggi mi regala fortissime emozioni. Ho ancora sulla pelle i brividi del mio esordio. Era il 1973. Utilizzai opere di arte visiva realizzate con varie tecniche. Chiesi aiuto alla fotografia, cercai il conforto della pittura, mi avvalsi della fantasia della grafica. E, come tocco finale, inserii oggetti tridimensionali.

Ma l’origine e il nucleo di ogni mio progetto è stata la poesia, diventata, con il tempo, visiva e visuale. E’ intorno a quest’arte che costruisco le mie performance”. Tutto parte dunque da una parola, dai suoi sensi, dai suoi suoni. Le sue vibrazioni si trasformano in versi e i versi danno vita alla poesia e la poesia anima il gesto.

Dal più conosiuto brano “Vocecevovoce”. E’ un gioco di suoni in cui la parola non perde la sua essenza, ma viene investita di nuova energia. Dalla voce al corpo, come una corda di violino, tutte le membra vivono e accompagnano le parole. La Performance Art è quell’arte che riesce a fondere energie interne ed esterne, a mettere insieme tutti gli elementi che la costituiscono, per una lettura drammaturgica di poesia totale.

“Il performer-poeta - ci spiega con tono coinvolgente l’artista - è un interlocutore inarrestabile che riesce ad aprire con entusiasmo finestre su nuovi e antichi mondi. Le mie opere visive e le mie Performance Art, così come l’Action Poetry, non si possono definire con un’unica analisi, perché il giudizio estetico coinvolge numerosi settori disciplinari. Uno degli elementi di primo piano è sempre dato dall’espressività del corpo, dalla sua voce, dalla sua gestualità e da tutto il complesso delle sue manifestazioni.”

Dalle parole di Frangione ci rendiamo conto che il performer-poeta compie un viaggio prima dentro sé stesso, nel suo profondo riposto, e poi lo comunica all’esterno. Il corpo dell’attore diventa elemento fondamentale per la costruzione più completa dell’opera, in cui l’originalità del dramma prima ancora che essere teatro, “avviene nella consapevole coscienza di esistere e poi, come sintesi, viene messa in campo”. Un colloquio appassionante durante il quale scopriamo che nella Performance Art anche il luogo che ospita l’esibizione riveste un ruolo di primaria importanza. “Lo svolgimento -chiarisce l’artista - può avere una collocazione qualunque, purché non limitativa, affinché la poesia possa muoversi senza fine. Lo spazio dell’opera d’arte che entra in un altro spazio, più ampio, più comprendente”.

Frangione, partendo dalle arti visive, ha sperimentato la loro applicazione oltre i canonici luoghi, non più, o meglio, non solo entro lo spazio di una tela, ma si è spinto verso la costruzione di ambienti visivi nuovi. “Si chiama ‘ricerca della interdisciplinarietà’- ci ha detto - in cui la poesia come l’opera d’arte esce dai suoi tradizionali luoghi per volare altrove. Cosicché una rappresentazione può essere eseguita in teatro così come nelle piazze, nei chiostri, nei centri storici. Una traslazione dai luoghi dell’arte agli ambienti urbani con ambientazioni di poetiche visive.” La suggestione della parola è amplificata dalle immagini che si riflettono nello spazio, scandita da effetti sonori che ne suggellano la forza evocativa.

La multimedialità anche se non centrale, ha reso possibile questo processo, attraverso il quale l’incontro tra la poesia e la tecnologia, tra la tradizione e l’innovazione, ha consentito il raggiungimento di nuove frontiere.

Nicola Frangione si è fatto interprete di questo nuovo modo di fare arte e ha ideato originali video art che fanno da scenografia ai suoi spettacoli. “Corpo, voce e luce - racconta con occhi sognanti – si muovono insieme senza grandi impianti scenografici, una sinergia che dà vita a quella che molti artisti definiscono la drammaturgia delle arti”. Una drammaturgia in cui ‘le parole in libertà’, di futurista memoria, prendono il sopravvento.

Con la performance “La voce in movimento” (e trasversalità video-sonore), rappresentata in tutt’Italia e all’estero, Frangione mette proprio in evidenza il testo e il ritmo della voce che accompagnato dalla sonorità e dalla gestualità, sottolineano e affrancano il testo. Il tutto confluisce in un’azione poetica di grande impatto. Una performance tutta da vedere, oltre che da ascoltare, in cui la grafica del testo si muove nello spazio, con l’ausilio di videoproiettori.

La parola fluttuante acquisisce maggiore liquidità, contribuendo a creare una più suggestiva ambientazione. “Si tratta di “poesia del suono” - ha commentato l’artista - di un evento sonoro come oggetto artistico, dove testo, voce, musica sono in stretta fusione.” Conosciuta e apprezzatissima personalità nel mondo della performance art, soprattutto all’estero, Frangione è stato annoverato dal Corriere della Sera tra i primi cinque perfetti sconosciuti in Italia, ma tra i maggiori performer nel mondo in qualità di sperimentatore di arti visive, poesia sonora e visiva. Come dire “nemo propheta in patria”. Ha cominciato il suo percorso da autodidatta, affascinato dal futurismo e dal dadaismo, ha approfondito tutti i movimenti artistici e letterari degli anni ’50 e ’60. Sublime poeta dalle profonde sonorità e dallo sguardo rivolto oltre l’orizzonte.


Eva Bonitatibus

Potenza – novembre 2009