La Performance Art e l’Action Poetry si inseriscono a pieno titolo tra gli eventi più significativi nel panorama della ricerca artistica internazionale, favorendo l’interscambio culturale e ponendo l’attenzione sul concetto di nomadismo come elemento fondamentale nel lavoro dell’artista, che si sposta da un territorio linguistico ad un altro e offre occasioni di riflessione sul significato e sulle tecniche di progettazione dell’opera plurale.

 

“Se nel tempo non fossimo del tutto altro potremmo di nuovo

ma nel tempo non essendo nuovi potremmo essere del tutto altro”

 

La nuova Azione Poetica deve attraversare figure di valenza interdisciplinare e sconfinare nella tensione del tempo totale. Il performer-poeta sprigiona un’immensa energia, è magma che travolge, è fiume che scorre. È interlocutore inarrestabile che riesce ad aprire con entusiasmo finestre su nuovi e antichi mondi.

La performatività poetica accoglie sinergie diversificate. Il corpo diventa materia espressiva. Nella performance art il corpo-unico non teatrale esplode in una nuova drammaturgia, dove il baricentro dello spazio-tempo lo riconduce di volta in volta in ambiti differenziati: arte visiva in movimento, installazione ambientale, poesia del corpo-vivente.

La Performance Art oggi, così come l’Action Poetry, non la si può definire con un unico frangente di analisi, perché il giudizio estetico coinvolge numerosi settori disciplinari; ma uno degli elementi di primo piano è sempre dato dall’espressività del corpo, dalla sua gestualità e da tutto il complesso delle sue manifestazioni.

A volte la centralità è vicina alla danza o alla ritualità, anche in chiave provocatoria, altre volte coinvolge la sonorità, che spesso non esclude il testo. In ogni modo il corpo espressivo si orienta verso due costanti indirizzi: uno freddo, in senso concettuale, l’altro estremamente caldo, in un’ottica esistenziale.

Queste sono le caratteristiche di una espressività artistica che ormai è piuttosto diffusa nel circuito internazionale. Ma, principalmente, oggi la performance art sembra esprimere la sua energia poetica con caratteri nomadi, non solo in senso fisico, aderendo ad un circuito internazionale che prevede spostamenti da una realtà geografica a un’altra, incontrando contesti culturali differenti, ma anche in chiave linguistica, attraverso l’impiego di strumenti e modalità interdisciplinari.

Oggi si tenta di valutare il messaggio della performance non solo esteticamente, si cerca di misurare la sua energia poetica anche in senso esistenziale.

Compito del performer è, infatti, quello di convogliare l’energia che giunge dall’esterno all’interno della performance stessa. In un certo senso la performance art rappresenta il desiderio di far rivivere nell’azione un qualcosa che esiste già all’esterno dello spazio-tempo deputato; si tratta di fondere energie interne ed esterne, creando una ricucitura tra gli elementi.

 

“L’opera  ricca di elementi non è mai univoca pur unendosi,

 nel divenire artistico prendiamo in prestito il tempo come eredità,

non è mai del tutto conclusa, resta in attesa”

 

È soprattutto questo aspetto che caratterizza la performance, laddove l’artista  agisce per captare e plasmare messaggi, rielaborarli e farli rivivere, cosicché alla fine ogni messaggio artistico perde il possesso dell’autore.

La prima fase di ogni produzione artistica deve essere misurata sull’energia esterna e la poetica è soprattutto influenzata dall’attesa del successivo momento performativo.

A conclusione di una performance, dopo la fase dinamica del corpo, l’azione poetica interrompe il processo di attrazione, sovrapposizione, assorbimento, così che l’energia resta sospesa, rappresentando in tal modo il valore politico del gesto artistico in potenza.

 

Nicola Frangione

Monza – ottobre 2006

Il gesto della parola e la performance della voce


La riscoperta del valore del corpo nella voce non è nuova ma mi permette di considerare da un punto di vista emozionale ed espressivo la nuova Performance/Poetica, ed anche l’evoluzione di essa nella mentalità contemporanea, nell’ottica dell’integrazione dei linguaggi e della comunicazione artistica.

Da molte parti non si dà spazio a queste ricchezze umane se non nella loro spettacolarizzazione: ma esse si infiltrano un po’ dappertutto, attraverso l’animazione di gruppi dinamici e l’attivazione di laboratori (performances, teatro, danza) per giungere ai più recenti esperimenti di terapia con l’arte, in forma di monologhi e performances innestate sull’analisi della conoscenza di sé e del sé.

È grazie a questo bagaglio di approfondimenti teorici, di esperienze estetiche e di laboratori di produzione che si configura la mia ricerca artistica: essa viene considerata vuoi come arte totale, vuoi come poesia sonora, poesia fonetica, Action Poetry, Performance-Art.

Negli ultimi quarant’anni, grazie al lavoro personale o coordinato con quello di molti artisti a livello internazionale, hanno visto a luce e si sono sviluppate intense performances e monologhi di Action-Voice, funzionali alla conoscenza e allo sviluppo di essa: provenienti da differenti realtà geografiche, questi lavori sono state accolti e rappresentati in diversi Festival Internazionali di nuova drammaturgia, visualità, sonorità e pensiero in movimento.

Questo meccanismo costituisce per me una continua e progressiva presa di coscienza, non tanto il frutto di una strategia studiata. Dal 1973 gli eventi che promuovo e organizzo nel contesto di manifestazioni artistiche interdisciplinari o al Festival Art Action di Monza o in altre iniziative e spettacoli sparsi in tutto il mondo nell’ambito della mia attività, hanno condotto ad una crescente valorizzazione della performance-art e ad un sempre più organico e attento apprezzamento dei suoi sviluppi.

È nella comunicazione interpersonale che si evidenziano in primo luogo le valenze della corporeità e della voce. Più la si sperimenta, più queste sono apprezzate nel loro portato di novità e pregnanza.

Non si pretende di spiegare o giustificare ogni cosa con la sola ragione interpretativa. Occorre lasciar spazio anche all’immaginazione, al differente e al mistero. Il pubblico sa riconoscere l’importanza di un approccio esistenziale, percepisce l’energia trasferita e apprezza anche le dosi di imprevisto e di spontaneità poetica. È su queste premesse che nelle mie performances i testi vocali si possono tagliare, cucire, spostare, rendendosi disponibili a differenti significati come vera e propria costruzione musicale. Non si tratta tanto di testi cantati sulla musica, ma di testi come musica significante; una sorta di testi decontestualizzati, dunque, in sinergia con vari contesti di spazio espressivo, che accolgono e integrano il visuale, il visivo e il sonoro in un unico con-testo.

Mai come gli ultimi decenni ci hanno fatto prender coscienza dell’immenso ritardo nello sviluppo e nell’integrazione del CorpoVoce. Arte e psicologia hanno un ruolo indispensabile, sia per la comprensione sia per lo sviluppo della personalità nella sua interezza. Non si può ignorare il corpo, coscienza di sé e del nostro spazio totale: ma questo si può ottenere solo attraverso la riscoperta del proprio CorpoVoce e della propria gestualità.

Riappropriandomi del CorpoVoce e di tutte quelle realtà che in esso hanno radice, dentro il sé e fuori del sé riconquisto le emozioni, i sentimenti, le intuizioni, la spontaneità. Come nel parto, la donna, riappropriandosi del corpo, porta a buon fine la sua gravidanza, così, per spontanea similitudine, il CorpoVoce è inteso come un tutto dinamico e vitale.

Noi siamo come un sismografo sensibile: il nostro organismo può registrare uno stato di tensione che a volte esalta e a volte inceppa le sue funzioni essenziali di organo motore e strumento per la comunicazione interpersonale. Si tratta di passare dal sistema dell’avere a quello dell’essere, dal corpo oggetto al corpo vissuto, dallo stupefacente apparire allo stupefacente essere.

Nel corpo che parla noi riusciamo ad allentare il dominio della logica discorsiva e astratta, ci accorgiamo che anche la voce ha un proprio modo di pensare. E nelle performance non è mai obbiettivo come una macchina, per quanto sofisticata: è il luogo dove risuona con il corpo nella totalità. È nel proprio corpo e attraverso di esso che l’essere percepisce il reale. È a partire dal corpo che con la voce si stabilisce il linguaggio primordiale, dividendo il tempo e lo spazio. Da qui la sonorità nasce, vive e si espande: in alto, in basso, in avanti, indietro, a sinistra, a destra, prima, durante e anche dopo la performance.

Il CorpoVoce in movimento fonda in certo modo pensiero e linguaggio. Per muovere ed evidenziare la ricchezza del gesto e il suo ruolo fondatore di lingua originaria. Il pensiero nel gesto della voce non ha idee pure: ogni coscienza è gestuale, ogni giudizio è interazione.

Nell’essere, l’intelletto agisce attraverso i sensi, la realtà colpisce il suo corpo ed egli interviene sulla realtà segnandola con la forza espressiva dell’intero suo essere.

Ciascuna fase di ogni interazione è sempre fremente dell’una o dell’altra di quelle innumerevoli irradiazioni affettive che a giusto titolo vengono chiamate emozioni o “mozioni” emergenti dal profondo.

Ascoltare il proprio corpo o quello degli altri accompagna l’essere nel suo desiderio di capire e costruire legami della comunicazione. Le esperienze del corpo sono sempre coinvolte in una comunicazione interpersonale anche quando sono negate o costrette.

La nostra voce investe il corpo con il carattere testuale del vissuto un attimo dopo e dimostra che sta cambiando la percezione stessa del suo ruolo: non è facile prevedere se questi elementi di evoluzione sfuggiranno a un tentativo di recupero nel percorso di crescita individualmente collettiva, verso una maggiore creatività e autonomia poetica, in una prospettiva di apertura agli altri. Occorre stare accorti.

 

Nicola Frangione

Monza – gennaio 2010